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Reato sponsorizzato

Reato sponsorizzato

Davide Giacalone – Libero

Occupare una scuola, come un edificio o del suolo pubblico, è un reato. Elogiare pubblicamente un reato può avere un preciso significato politico e civile: siccome credo che sia sbagliato considerarlo un reato allora ne faccio l’apologia, o addirittura lo commetto, chiamando su di me la punizione proprio per mettere in evidenza quanto sia sbagliata. Si chiama disobbedienza civile. Ma qui siamo di fronte a un componente del governo (il sottosegretario all’istruzione, il democratico Davide Faraone), che esalta il valore formativo del commettere un reato, ma non lo fa per chiamare su di sé la punizione, che già non subì quando (a sua detta) commise il reato, bensì per attirare su di sé l’attenzione. Si chiama esibizionismo incivile.

Quanti occupano illegalmente le case popolari commettono un reato ed è giusto che si sgomberi. Eppure quelle persone hanno violato la legge in nome di un bene primario, ovvero il tetto sopra la testa. Perché le forze dell’ordine dovrebbero intervenire contro quelli e lasciar correre se le occupazioni di edifici pubblici non rispondono ad alcun bisogno reale? Quegli istituti hanno dei responsabili, che si chiamano presidi. Il compito dei presidi sarebbe quello di chiedere l’intervento delle forze dell’ordine. È naturale che nessuno assennato voglia far precipitare le cose o procurare guai ai ragazzi, ed è per questo che molti presidi provano a continuare il dialogo, chiudendo un occhio sull’occupazione purché si torni in fretta alla normalità. Ma che succede se il responsabile politico dell’istituzione afferma che è più formativa l’occupazione, ovvero un reato, della normale didattica? Succede che i presidi desiderosi di fare il preside si ritrovano pugnalati alle spalle, mentre quelli desiderosi di non fare niente ottengono l’avallo ministeriale. Bella roba.

La preside di un liceo romano, il Tasso, ha voluto impuntarsi. È andata al ministero, con una delegazione di genitori e di studenti. Sono stati ricevuti da un collaboratore del sottosegretario ed è stato, parole loro, un «dialogo fra sordi». Cioè: chi lavora per lo Stato ed è tenuto a far rispettare le leggi, accompagnato da chi manda i figli a scuola e dai figli che ci vanno, chiede udienza a chi dirige il settore dell’istruzione e manco li stanno a sentire, delegando un collaboratore del sottosegretario. Di quello stesso sottosegretario che aveva chiesto di essere invitato alle assemblee studentesche che si tengono durante le occupazioni, in modo da portare la solidarietà del governo alla commissione di un reato. Assemblee cui desidera partecipare per confrontarsi sul disegno di riforma della scuola, che gli studenti occupanti avversano, che il governo propugna, ma che ha un’esilarante caratteristica: non c’è. Non l’hanno scritto. Ci sono dei punti, a confronto dei quali nei Baci Perugina c’è vera letteratura.

Ho molte volte ripetuto che sono favorevole alla cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ma sono in minoranza, quindi rimane. Chiedo: posto che occupare è un reato e posto che le notizie di occupazione sono pubbliche, come anche il commosso plauso ministeriale, per quale ragione le procure non aprono dei fascicoli? Magari riusciamo, per questa via, a dimostrare quel che sosteniamo da molto: nulla è più facoltativo di quella presunta obbligazione, utile solo a mascherare indagini farlocche, quando non pretestuose.

Ma c’è un altro corollario, discendente da quello che capita. Se dal ministero si può sostenere che l’occupazione ha valore formativo superiore a quello della scuola normale è perché quest’ultima sembra avere valore quasi nullo. E a giudicare dai risultati governativi, la tesi ha un suo fascino. Adesso, però, dirò una cosa che non so se sia di destra o di sinistra, ma profondamente giusta: senza una scuola formativa e duramente selettiva andranno ancora avanti i deficienti chiacchieroni e privilegiati, a tutto discapito dei bravi svantaggiati. La scuola di Faraone, la scuola delle occupazioni formative, è vigliaccamente classista, perché condanna gli ultimi a restare tali, togliendo loro l’ascensore sociale della selezione per merito.

Feci la scuola a Palermo, come Faraone. Ci furono le occupazioni, come ogni anno. A scuola mia gli occupanti furono arrestati, di notte. E mi dispiacque, molto. Se ricapita sapete a chi presentare il conto: a quel sottosegretario che ha scritto di avere scoperto, in quelle notti non scolastiche, il sesso e la politica. Spero solo che la prima cosa gli sia riuscita in modo meno imbarazzante della seconda.

Convegno “Prima le idee” – Interviste ai relatori

Convegno “Prima le idee” – Interviste ai relatori

Per parlare della situazione politica, ma soprattutto del centro destra, il Centro Studi ImpresaLavoro ha organizzato lo scorso 2 dicembre a Udine, presso Palazzo Kechler, un incontro in cui proporre alcuni punti di vista per contribuire al dibattito.

Ha introdotto Simone Bressan, Direttore ImpresaLavoro

Sono intervenuti:
Massimo Blasoni, Presidente ImpresaLavoro
Carlo Lottieri, Filosofo liberale, editorialista Il Giornale
Davide Giacalone, Scrittore, editorialista Libero

Intervista a Massimo Blasoni:

Intervista a Carlo Lottieri:

Intervista a Davide Giacalone:

Il servizio di TeleFriuli:

Ecco le tre mosse per salvare l’Italia e l’Europa

Ecco le tre mosse per salvare l’Italia e l’Europa

Giuseppe Pennisi – Formiche

Un seminario di studi organizzato da Febaf e da Economia Reale, le proposte per uscire dalla crisi e un paio di perplessità… Il 3 dicembre, proprio mentre il disegno di legge di stabilità approvato (ricorrendo al voto di fiducia) dalla Camera approda in Senato, la Federazione Banche Assicurazioni e Finanza (FeBaF) presieduta da Luigi Abete e l’Associazione Economia Reale hanno organizzato una riflessione sulla strategia di politica economica.

Riflessione tra economisti
Ad essa hanno preso parte, tra gli altri, il Presidente ed il Segretario Generale della FeBaf (Luigi Abate e Paolo Garonna), il Presidente dell’Associazione Economia Reale (Mario Baldassarri), Emilio Rossi della Oxford Economics, nonché Sergio de Nardi (Nomisma), Stefania Tomasini (Prometeia), Pierluigi Ciocca (Accademia dei Lincei), Marco Simoni (London School of Economics), Marco Fortis (Fondazione Edison), Marcello Messori (Luiss), Paolo Savona (Emerito Luiss) e molti altri. Una riflessione, quindi, tra economisti qualificati.

Il Rapporto
Il documento di base presentato è stato un libro curato da Mario Baldassarri Scacco Matto alla Crisi: Tre mosse per salvare l’Italia e l’Europa e un aggiornamento per tenere conto degli ultimi sviluppi e delle misure di politica economica all’esame del Parlamento. Non è certo questa la sede per riassumere le 370 pagine del volume e le 80 dell’aggiornamento, oppure diverse ore dibattito. L’analisi del volume e dell’aggiornamento è pienamente condivisibile: l’Italia sembra essere su una china sempre più in discesa – tanto da considerare preoccupanti gli “esami di riparazione” che l’Unione Europea ci ha chiesto di fare in marzo-aprile – e la legge di stabilità non è tale da mordere e fare cambiare marcia.

I 3 consigli
Le tre mosse suggerite nel libro e reiterate nell’aggiornamento sono le seguenti:
a) Un ritorno graduale del rapporto di cambio 1 a 1 tra euro e dollaro.
b) Una politica di bilancio espansionista (tagliando però le spese improduttive delle amministrazioni pubbliche dello Stato e delle autonomie locali, valutate in almeno 40 miliardi di euro l’anno) a supporto, complemento ed integrazione di una politica espansionista della moneta.
c) Una riduzione del fardello del debito pubblico tramite emissioni di titoli di un fondo garantito dal patrimonio immobiliare dello Stato e delle autonomie.
In tal modo, non solo si uscirebbe dalla recessione e deflazione ma si potrebbe progressivamente tornare a tassi di crescita del 3% l’anno e non solo risolvere il problema del debito ma anche e soprattutto rilanciare produzione, produttività ed occupazione. Questa è, senza dubbio, una sintesi di documenti molto articolati e molto ricchi di analisi econometriche.

Le perplessità
Tuttavia, ho perplessità sull’obiettivo (un ritorno ad un tasso di crescita del 3% l’anno) sia sugli strumenti. L’obiettivo non tiene conto che prima della crisi del 2006 la Banca mondiale, la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE ponevano all’1,3% il tasso potenziale di crescita dell’economia italiana a ragione dell’invecchiamento della popolazione, delle dimensioni medie aziendali e dell’obsolescenza degli impianti, Già nei piani triennali del 1981 e del 1982, per le medesime determinanti la crescita potenziale dell’Italia veniva stimata tra il 2% ed il 2,5%. Nel più recente documento Bce viene posta allo 0% a ragione degli effetti devastanti della crisi sull’apparato produttivo nonché dell’ulteriore invecchiamento. Quindi sarebbe più realistico puntare ad un tasso potenziale di crescita pre-crisi (1.3-1.5% per cento).

La questione del cambio
In secondo luogo, il cambio euro-dollaro dipende più dalla politica monetaria americana che da quella europea; se gli Usa continuano sulla strada del benign neglect, è difficile pensare di poter raggiungere, nel breve termine, l’obiettivo della parità tra dollaro ed euro. E’ da condividersi una politica di bilancio espansionista, ma l’attuale Governo non intende né uscire dai binari europei né entrare in aree di spesa di competenza delle autonomie locali (dove c’è molto grasso).

Il nodo del fondo
In terzo luogo, io stesso propongo da anni un fondo (non solo immobiliare) e tale da ridurre il fardello del debito. E’ stato effettuato un esame tra le varie proposte in una giornata seminariale al Cnel ed l’associazione di ricerca Astrid ha presentato un dettagliato documento. Ma a più riprese il presidente del Consiglio ed il ministro dell’Economia e delle Finanze hanno affermato di non considerare quello del debito un argomento prioritario.

Il dibattito è aperto.

Condannati alla monnezza

Condannati alla monnezza

Davide Giacalone – Libero

Ce la prendiamo con l’invadenza e la costrizione europea o con la deficienza e l’indecenza italiana? Propendo per la seconda ipotesi e trovo che la condanna della Corte di giustizia, per le discariche abusive e inquinanti, sia uno sfregio meritato. Non ci siamo limitati a farci condannare, ci siamo spinti a farci riprendere per non aver dato alcun seguito a quella sentenza. I fatti: nel 2007 la Corte europea ci condanna per le discariche abusive (4866 vergogne, ridottesi a 218 indecenze), in spregio della direttiva europea che regola lo smaltimento dei rifiuti. Come spesso capita, in Unione europea si è fin troppo elastici, sicché, dopo la sentenza, l’Italia ottiene tempo per rimediare. Quante volte reclamiamo elasticità per potere continuare con le rigidità immorali? Passano sette anni e la Commissione deve prendere atto che in Italia non si è ancora rimediato. Ed ecco la pena: 40 milioni da pagare forfettariamente e 42,8 per ogni semestre ulteriore di inadempienza nel rimediare. Considerato che per assolvere al nostro dovere non basta non continuare con le discariche abusive, non basta coprire di terra gli scempi, ma quelle esistenti vanno risanate, ne deriva che ci siamo guadagnati una tassa ulteriore, pari a 85,6 milioni l’anno. Continuando a tenerci la monnezza a cielo aperto. Continuando ad avvelenarci.

Allora: colpa dell’Europa? Si facciano gli affari loro? No: infamante colpa italiana. Dice Gian Luca Galletti, ministro dell’ambiente, che non pagheremo una lira, perché sono stati stanziati i soldi per rimediare. Intanto i 40 milioni li paghiamo. I soldi stanziati sono 60 milioni. Questo significa che, a giudizio del governo, per risolvere il problema ci vogliono meno soldi della multa di un anno, e un terzo in più di quella una tantum. Ammesso che le cose stiano così, perché l’impressione è che la criminalità dei rifiuti non sia in fase di riflusso, ma di straripamento. La colpa è di un Paese in cui il presunto ambientalismo rende impossibile smaltire i rifiuti in modo sensato e regolare, facendo da spalla alla criminalità organizzata delle discariche e delle sostanze tossiche sversate nell’orto. In cui ci sono sindaci no-discarica, no-inceneritore, no-termovalorizzatore, in attesa che arrivi l’era del no-sindaco, nel senso che prima o dopo salta tutto. In cui i movimenti spontanei lo sono come le poesie recitate dai bambini, e compitate tutte con la stessa rima balorda del comune che s’è denuclearizzato (meriterebbero una tassa sulla cretineria), ma non s’è despazzaturizzato. In tal senso l’ideale che s’insegue, una via di mezzo fra scie chimiche frinenti e glocal (globale e locale) per analfabeti, è il mito di rifiuti zero. Tipiche conquiste della cultura usa e getta. Altamente inquinante.

La condanna non è nuova, dunque. La novità è che dal 2007 a oggi non siamo riusciti a chiudere la partita. E le discariche abusive. Senza contare che sono un orrore anche le discariche non abusive, perché la ragionevolezza vorrebbe che i rifiuti da buttarsi in discarica fossero una parte residuale di
quelli riciclati, termovalorizzati o smaltiti. Noi, invece, abbiamo Comuni come la capitale, che impongono ai cittadini la raccolta differenziata e poi buttano tutto nello stesso buco di follia. Il Paese più bello del mondo, la meta ambita da chiunque, riesce a essere il luogo in cui il pattume si monumentalizza. C’è una cosa, però, che alla Corte europea sarà bene non far sapere: non è che siamo inadempienti dal 2007, è che questa situazione già la cantava Aldo Fabrizi, con “Buon giorno monnezza”. Non mi ha mai convinto la teoria dell’Europa come vincolo esterno, opinione che mi consentì di vedere che il problema non sarebbe stato entrare nell’euro, ma restarci. In casi come questi, però, mi piace l’Europa come ceffone esterno. Meritato da ceffi incapaci e tanto moralisti quanto privi di etica.

Stabilità, deluso l’immobiliare

Stabilità, deluso l’immobiliare

Italia Oggi

La Confedilizia è stata ascoltata in audizione dalla commissione bilancio della Camera dei deputati in merito al disegno di legge di stabilità. Per la prima volta in almeno vent’anni, però, l’organizzazione storica della proprietà immobiliare non ha depositato in Parlamento un documento illustrativo della propria posizione né formulato alcuna specifica proposta. Ciò, segnala una nota della Confederazione, per denunciare in modo manifesto l’assenza di un sia pur minimo segnale di attenzione al settore immobiliare nel provvedimento principale del governo in materia economica.

La situazione di gravissima crisi in cui versa il settore immobiliare, ha rilevato la Confedilizia, è talmente conclamata che non necessita neppure di essere illustrata al Parlamento. Da tre anni a questa parte, sugli immobili si è abbattuta un’offensiva fiscale senza precedenti che ha portato i proprietari a versare nel solo 2014 quasi 28 miliardi di imposte rispetto ai 9 del 2011 e l’Italia ad avere una imposizione sul settore quasi doppia rispetto a quella media dei Paesi Ocse (2,2% contro 1,2%). Un carico tributario talmente elevato e dirompente che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi comparto dell’economia. E che, puntualmente, ha provocato la conseguenza che è sotto gli occhi di tutti: abbattimento del valore degli immobili di duemila miliardi, vero e proprio «furto legalizzato»; riduzione dei consumi dovuta alla consapevolezza, nei proprietari, del depauperamento del proprio investimento e perdita delle garanzie per il futuro che la proprietà di un immobile dava.

Effetti, già gravissimi, ai quali se ne stanno aggiungendo due ulteriori, ancora più inquietanti, negli ultimi mesi: la distruzione delle case da parte degli stessi proprietari, per renderle non assoggettabili a tassazione, e la rinuncia ai propri beni a favore dello stato in base alla normativa del codice civile.
In questo quadro, ha sottolineato la Confedilizia, il fatto che il disegno di legge di stabilità non contenga alcuna misura per l’immobiliare e consolidi così una politica di tassazione del risparmio e dell’investimento in edilizia, non può che lasciare sconcertati. Specie se si pensa che un messaggio di fiducia come quello della riduzione di un quasi simbolico 3% delle rendite catastali, aumentate del 60% dal governo Monti e confermate in tali termini dai governi successivi, sarebbe costato non più di 7-800 milioni di euro e che fondi immobiliari e società di investimento immobiliare quotate (Siiq, due in tutta Italia, fra cui una delle cooperative) e non quotate (Siinq) godono ogni anno di oltre 500 milioni di euro di sgravi fiscali e hanno appena ottenuto ulteriori 30 milioni di euro di agevolazioni col decreto Sblocca Italia e la liberalizzazione dei soli grossi comparti (centri commerciali ecc.) di cui sono proprietari.

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Antonio Signorini – Il Giornale

Non basterà il prezzo del petrolio ai minimi da cinque anni a rendere più piacevoli le festività agli automobilisti. Le brutte notizie per chi è costretto a fare il pieno arriveranno, tanto per cambiare, dal fisco italiano.Come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre, dal primo gennaio scatterà una delle tante clausole di salvaguardia. Questa volta farà aumentare le accise sui carburanti di 1,8 centesimi al litro, 2,2 cent considerando l’effetto dell’Iva. Cifra approssimativa perché dovrà essere un provvedimento dell’Agenzia delle dogane a stabilire l’esatta quantificazione in modo da reperire 671 milioni nel 2015 e 17,8 milioni di euro nel 2016. Servono a coprire l’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale decisa nel 2013. Doveva essere finanziata dall’Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione e da un giro di vite fiscale sui giochi, ma non è bastato. Il greggio è sceso sotto i 64 dollari, però – ha osservato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – «in Italia il prezzo dei carburanti alla pompa rimane ancora molto elevato», grazie a un’imposizione fiscale che «non ha eguali in Europa». Una gallina dalle uova d’oro il portafoglio degli automobilisti, tanto che in quattro anni i ritocchi all’insù sono stati ben nove.

Consumi fermi, investimenti a picco

Consumi fermi, investimenti a picco

Rossella Bocciarelli – Il Sole 24 Ore

L’Istat conferma: nel terzo trimestre del 2014 il Prodotto interno lordo è rimasto in zona negativa e si è ridotto dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente. La foto dettagliata del paese fornita ieri attraverso i conti economici trimestrali è perfino più scura di quanto già non si fosse capito attraverso la stima-flash. In primo luogo, infatti, la riduzione tendenziale del prodotto nei tre mesi compresi fra luglio e settembre 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è risultata pari allo 0,5% (nella stima flash si parlava di -0,4 per cento). Di conseguenza, ora, la variazione acquisita dell’attività produttiva per l’anno in corso, vale a dire la crescita che si avrebbe ipotizzando un quarto trimestre a incremento nullo, è pari a -0,4 per cento. Ma il fatto è che i dati di ieri mettono in evidenza la particolare debolezza della domanda interna nel nostro paese: rispetto al trimestre precedente, spiega infatti il comunicato dell’istituto, i consumi sono rimasti fermi mentre gli investimenti fissi lordi sono scesi addirittura dell’uno per cento; le esportazioni dal canto loro sono aumentate dello 0,2% mentre le importazioni sono diminuite dello 0,3 per cento.

C’è poi chi fa notare che lo storico traino della ripresa italiana, ovvero le esportazioni, stavolta ha funzionato poco, penalizzato dalla crescita inferiore alle attese di paesi emergenti ed Europa e dalle sanzioni Ue alla Russia: «Manca una stabilizzazione economica perché non c’è l’apporto del driver più importante, l’export, che avrebbe dovuto innescare la ripresa degli investimenti» commenta Riccardo Barbieri, di Mizuho. Quanto ai consumi, nei dati disaggregati è da notare il miglior andamento della spesa delle famiglie (+0,1%) rispetto a quella pubblica (-0,3%). Da un lato il lieve rialzo dei consumi privati beneficia molto probabilmente della introduzione del bonus da 80 euro per i redditi più bassi, dall’altro pesano l’attuazione della spending review e, a livello locale, del patto di stabilità interno.

In pratica i timori sul rischio deflazione espressi ieri dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sono più che giustificati, oltre che per l’Eurozona, per il nostro paese. A proposito di prezzi impliciti, l’Istat rimarca che il deflatore del Pil è diminuito dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il -0,1 per cento congiunturale del Pil realizzato dal nostro paese si confronta infatti con un aumento dello 0,2% della media di Eurolandia mentre il meno 0,5% tendenziale si misura con un +0,8% tendenziale dell’Eurozona. Insomma, è vero che in tutto il continente l’economia, più che crescere, sta ancora strisciando. Però l’Italia durante l’estate era ancora in recessione e solo per 1’ultimo scorcio dell’anno si incominciano a intravvedere segnali di stabilizzazione per l’attività produttiva, che prima o poi dovrebbe beneficiare della forte contrazione in atto nei prezzi petroliferi.

Intanto, però, anche sul lato dell’offerta i dati Istat relativi all’estate mettono in evidenza che la dinamica congiunturale è stata negativa per il valore aggiunto dell’agricoltura (-0,1%), dell’industria in senso stretto (-0,6%) e delle costruzioni (-1,1%) mentre il valore aggiunto dei servizi è rimasto stazionario. In termini tendenziali (terzo trimestre 2014 su terzo 2013) la caduta più forte è il meno 3,5% del settore delle costruzioni, seguito dal -1,1% dell’industria in senso stretto,dal -1,3% dell’agricoltura e dal meno 0,1% per i servizi.«È l’ennesima conferma di una situazione ancora critica per l’economia italiana» commenta l’ufficio studi della Confcommercio. Sebbene la dinamica dell’attività produttiva sia meno negativa rispetto a quanto registrato tra la fine del 2012 ed i primi mesi del 2013 – è la conclusione – non si scorge una sicura via d’uscita dalla recessione ormai triennale».