Non è un paese per giovani
di Massimo Blasoni – Panorama
L’Italia rischia di essere un Paese con poche speranze, soprattutto per i giovani. Per quelli che hanno votato no al referendum al Sud perché ritenevano inadeguato il governo: oltre il 70% nelle Isole e giù di lì in Campania e Calabria. Anche per quelli che pensano che sia indispensabile emigrare all’estero per fare carriera, oppure più semplicemente per trovare lavoro. In effetti non sono pochi i giovani italiani che sono emigrati, oltre 60mila quest’anno. Ci dicono i dati ISTAT che le mete preferite sono il Regno Unito e la Germania. Se ne vanno in Paesi che, in effetti, hanno più crescita e meno burocrazia e dove è più facile fare ricerca. La metà di essi sono laureati e più del 5% tra coloro che hanno conseguito un titolo magistrale se ne va entro un anno dalla conclusione degli studi.
Colpisce una ricerca dell’Osservatorio di Demos-Coop. Il 63% dei nostri figli è convinto del fatto che difficilmente riuscirà a raggiungere – non certo a superare – la posizione sociale dei genitori. Il timore che non esistano opportunità e possibilità adeguate fa crescere l’esercito dei Neet. Sono coloro che né studiano né lavorano e il loro elevato numero ci colloca, in questa speciale classifica, all’ultima posizione in Europa. Un triste primato. I giovani sanno che le scelte fatte in passato con politiche previdenziali e lavori ipergarantiti si traducono oggi, per loro, in situazioni di incertezza. Temono di non avere oggi un lavoro e tantomeno, domani, un dignitoso trattamento pensionistico. D’altronde il nostro tasso di occupazione è al 57,2%, venti punti percentuali inferiore a quello tedesco. Così si allarga il solco tra generazioni.
Scontiamo anche un difetto di formazione. Siamo tra gli ultimi in ambito OCSE per risorse investite nell’Università in rapporto al Pil e meno della metà dei ragazzi italiani ha competenze digitali, contro una media europea del 59%. La maggior parte di loro vive a casa: due su tre, il doppio rispetto ai coetanei francesi e tedeschi. Ovviamente un po’ di mammismo c’è, tuttavia non è prevalente. Tra giovani choosy – cioè schizzinosi – come disse la Fornero nel 2012 e i ragazzi che avrebbero la voglia e le potenzialità per fare di gran lunga prevalgono i secondi. Un esempio? Il numero dei giovani imprenditori è in forte crescita; per spirito d’indipendenza e desiderio di realizzazione e non solo per motivi economici. Nel 2015 gli under 35 hanno aperto 120mila nuove imprese, mentre le chiusure sono state 53mila: un forte saldo positivo. Le young start up in Italia sono il 10% circa delle oltre 6 milioni totali, in media più che nel resto d’Europa. Dunque ci sono anche molti giovani che hanno voglia di mettersi in gioco, sia questo per necessità o per inseguire i propri sogni. Per ingrossarne il numero basterebbe che l’assenza di riforme e l’eccesso di burocrazia del nostro Paese non rappresentassero per loro il primo freno. C’è necessità di opportunità più che di aiuti, quello che gli ultimi governi non hanno saputo dare.