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Le nostre banche hanno triplicato l’esposizione sui Btp

Le nostre banche hanno triplicato l’esposizione sui Btp

Dal 2007 al 2017 le banche italiane hanno visto crescere i propri depositi di 1.023,4 miliardi (+67%), ma solo 266,7 miliardi (+19%) sono serviti a finanziare famiglie e imprese, mentre 532,8 miliardi (+202%) sono stati usati per triplicare l’esposizione in titoli di Stato. A rivelarlo è una ricerca del centro studi Impresalavoro, realizzata elaborando i dati ottenuti del Sistema europeo delle Banche centrali.
L’Italia si colloca ai primi posti della classifica dei Paesi che negli ultimi dieci anni hanno visto incrementare maggiormente lo stock dei depositi dei propri istituti bancari: da 1.531,4 a 2.554,9 miliardi. Il discorso cambia per quanto riguarda invece l’impiego di tali risorse per prestiti a famiglie e imprese: in questo caso l’Italia si ferma nella seconda metà della classifica, con una crescita del 19%. Nello stesso periodo i prestiti bancari sono invece saliti del 28% in Belgio (+78 miliardi), del 44% in Francia (+727,1 miliardi) e del 65% in Finlandia (+82,7 miliardi).
Nel nostro Paese il Qantitave easing voluto dalla Banca centrale europea ha paradossalmente ristretto l’accesso al credito. Nei primi due anni (dal 2015 al 2017) i prestiti bancari sono diminuiti del 3% a fronte di una crescita in gran parte del resto d’Europa: +6% in Germania (pari a 154,8 miliardi), +8% in Francia (pari a 183 miliardi) e +13% in Belgio (pari a 41,2 miliardi).
Ad aumentare negli attivi dei bilanci bancari italiani è stato semmai l’impiego in titoli di Stato e obbligazionari, triplicati nell’ultimo decennio con un aumento di 532,8 miliardi (+202%). Si tratta di una crescita record, senza uguali nell’Eurozona, a cui si avvicinano solamente quelle dei sistemi portoghese (51,4 miliardi, +176%) e spagnolo (266,9 miliardi, +130%).
«Questi dati confermano la radicale trasformazione del modello di business delle nostre banche rispetto ai livelli pre crisi, al quale è corrisposto un ricorso ben maggiore all’acquisto di titoli di Stato e obbligazionari rispetto agli impieghi a favore di quanti si impegnano ogni giorno a tenere in piedi i bilanci delle proprie aziende e famiglie», ha detto Massimo Blasoni, presidente del centro studi Impresalavoro. «Nemmeno nei mesi del Quantitative easing – strumento che volge ormai al suo termine e che nelle intenzioni del presidente della Bce Mario Draghi doveva assicurare favorevoli condizioni di finanziamento per famiglie e imprese si è potuta apprezzare una, ripresa dei volumi di credito all’economia reale: da allora questi prestiti sono infatti paradossalmente diminuiti del 3% e al tempo stesso è aumentata invece l’esposizione delle banche italiane al debito pubblico. Un’altra preziosa occasione è andata sprecata».

Banche: in 10 anni triplicata l’esposizione in titoli di Stato. QE inefficace: prestiti a famiglie e imprese in calo del 3%

Banche: in 10 anni triplicata l’esposizione in titoli di Stato. QE inefficace: prestiti a famiglie e imprese in calo del 3%

Nel corso della crisi dell’ultimo decennio le banche italiane hanno visto crescere i propri depositi del 67% per un controvalore di 1.023,4 miliardi di euro, ma di questi solo poco più di un quarto (266,7 miliardi, +19% nel periodo) è servita a finanziare famiglie e imprese mentre una quota ben maggiore è stata utilizzata per triplicare l’esposizione in titoli di Stato (cresciuta di 532,8 miliardi, +202%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro realizzata su elaborazione dei dati del Sistema europeo delle Banche centrali.

L’Italia si colloca ai primi posti della classifica dei Paesi che nel periodo 2007-2017 hanno visto incrementare maggiormente lo stock dei depositi dei propri istituti bancari: da 1.531,4 a 2.554,9 miliardi di euro, in parte accumulati nei primi anni della crisi e in parte anche dopo l’inizio del Quantitative Easing. Nello stesso periodo i depositi degli istituti francesi sono invece cresciuti del 54% mentre quelli degli istituti tedeschi e spagnoli soltanto del 13%.

Il discorso cambia per quanto riguarda invece l’impiego di tali risorse per prestiti bancari a famiglie e imprese: in questo caso l’Italia si colloca nella seconda metà della classifica, con una crescita del 19%, pari a +266,7 miliardi. Nello stesso periodo i prestiti bancari sono invece saliti del 28% in Belgio (+78 miliardi), del 44% in Francia (+727,1 miliardi) e addirittura del 65% in Finlandia (+82,7 miliardi).

Lo strumento del Quantitative Easing adottato dalla BCE ha invece paradossalmente ristretto l’accesso al credito in Italia: nei suoi primi due anni di applicazione (marzo 2015 – marzo 2017) i prestiti bancari a famiglie e imprese sono infatti diminuiti del 3% (-49,3 miliardi) a fronte di una crescita in gran parte del resto d’Europa: +6% in Germania (pari a 154,8 miliardi), +8% in Francia (pari a 183 miliardi) e +13% in Belgio (pari a 41,2 miliardi).

Ad aumentare negli attivi dei bilanci bancari italiani è stato semmai l’impiego in titoli di Stato e obbligazionari, triplicati nell’ultimo decennio con un aumento di 532,8 miliardi (+202%). Si tratta di una crescita record, senza uguali nell’Eurosistema, a cui si avvicina solamente quelle dei sistemi portoghese (51,4 miliardi, +176%) e spagnolo (266,9 miliardi, +130%).

«Questi dati confermano la radicale trasformazione del modello di business delle nostre banche rispetto ai livelli pre-crisi, al quale è corrisposto un ricorso ben maggiore all’acquisto di titoli di Stato e obbligazionari rispetto agli impieghi a favore di quanti s’impegnano ogni giorno a tenere in piedi i bilanci delle proprie aziende e famiglie» commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro. «Nemmeno nei mesi del Quantitative Easing – strumento che volge ormai al suo termine e che nelle intenzioni del Presidente BCE Mario Draghi doveva assicurare favorevoli condizioni di finanziamento per famiglie e imprese – si è potuta apprezzare una ripresa dei volumi di credito all’economia reale: da allora questi prestiti sono infatti paradossalmente diminuiti del 3% e al tempo stesso è aumentata invece l’esposizione delle banche italiane al debito pubblico. Un’altra preziosa occasione è andata sprecata».

La partita Italia-Ue sulla crisi delle Banche

La partita Italia-Ue sulla crisi delle Banche

di Giuseppe Pennisi – Formiche

La crisi di alcuni istituti di credito italiani (grandi e piccoli) è sparita da circa una settimana dalle prime pagine dei giornali. Ad esempio, su Il Sole-24 Ore del 17 luglio solo una (quasi invisibile) breve a p. 17 riportava un comunicato dell’ufficio dell’alto rappresentate per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, secondo cui ‘il Governo italiano e le autorità europee stanno lavorando positivamente’. Comunicato poco utile perché era da supporsi che le parti in causa stessero lavorando e da auspicarsi che stessero operando ‘positivamente’ verso un accordo.
In effetti, è in corso un negoziato la cui conclusione è tecnicamente semplice, sotto il profilo giuridico (basterebbe un’interpretazione estensiva per un periodo determinato – ad esempio sino al termine del 2016 – per l’applicazione di alcune regole delle direttiva sui dissesti bancari), ma politicamente molto difficile.

In primo luogo, il Governo italiano è stato oggettivamente indebolito dai risultati delle elezione amministrative, è alle prese con la riapertura del dibattito sulla legge elettorale, sta perdendo quota nei sondaggi di un referendum per il quale non è stata ancora stabilita una data ed ha la necessità di giungere ad un accordo ‘bancario’ con l’Ue nel più breve tempo possibile. Tanto il Governo italiano quanto quelli del resto dell’Ue e la stessa Commissione europea (Ce) sanno che le famiglie italiane hanno nei loro portafogli 200 miliardi di euro che, in mancanza di soluzione positiva dei negoziati con l’Ue, verrebbero triturati dal bail in, rendendo ancora più forti le opposizioni all’attuale Esecutivo.

In secondo luogo, la Ce vorrebbe dare una mano al Governo italiano (anche perché non vede alternative all’orizzonte) ma perderebbe di brutto la faccia (dopo la ha già persa giù un paio di volte negli ultimi mesi) se regole appena introdotte con la ratifica di tutte le parti in causa venissero applicate in modo lasco alla loro prima prova per favorire uno ‘degli Stati fondatori’ subito dopo la Brexit.

In terzo luogo – come spiega bene David Schäfer della London School of Economics nel saggio pubblicato nell’ultimo fascicolo del Journal of Common Market Studies – ‘unione bancaria’ si basa sull’’ordoliberalismo’ (il liberalismo delle regole) proprio con il fine (più volte ribadito da Berlino) ‘di rompere il circolo vizioso tra Stati e sistema bancario’. Poco importa se in passato i Länder della Confederazione – non le autorità federali- siano intervenute in aiuto di casse di risparmio e di banche di cui i Länder sono azionisti di riferimento: è un problema di ciascun singolo Land non del Governo federale. Per tale motivo si tratta di istituti non soggetti alla vigilanza della Banca centrale europea ed in gran misura al di fuori dell’unione bancaria.

In quarto luogo, nonostante la buona volontà ai piani alti della Ce e nonostante la disponibilità della Germania a stendere una mano pietosa all’Italia, siamo alla prese con un accordo inter-governativo in cui , salvo fare un ricorso alla Corte di Giustizia Europea (ed avere una sentenza definitiva tra tre-cinque anni), pesa anche il parere degli altri firmatari. Non pochi di loro leggendo i rapporti dalle loro ambasciate a Roma, oppure i giornali italiani ed alcuni quotidiani internazionali, non hanno fiducia in un Governo ed in Parlamento che alla firma ed alla ratifica del trattato di Maastricht si sono impegnati a portare il rapporto debito pubblico: Pil dal 105% al 60% entro un tempo ragionevole e venticinque anni dopo supera il 130% . Un debito pubblico molto elevato in rapporto al prodotto nazionale lordo – è noto- è un nemico della stabilità finanziaria , elemento essenziale per un buon funzionamento del sistema bancario. Infine, non pochi Stati del club dell’unione bancaria, notano che i flebili segni di ripresa in Italia si sono smorzati e si chiedono come possa il sistema bancario riprendere a funzionare bene in un’economia che ristagna o scivola in stagflazione.

Quanto ci sono costate le banche

Quanto ci sono costate le banche

Nicola Porro – Il Giornale

La crisi delle banche italiane è costata la bellezza di 210 miliardi di euro. Avete letto bene. I calcoli li ha fatti il centro studi ImpresaLavoro, ma i numeri, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sono invisibili, mentre il peso si fa sentire chiaramente nei portafogli di molti italiani.

Vediamo di mettere in fila i dati e tirare qualche somma. In un solo fine settimana di novembre dell’anno scorso con un intervento di Banca d’Italia e governo sono stati fucilati i risparmi di coloro che avevano investito nelle quattro etrurie, le banche locali commissariate. Il conto è presto fatto: si tratta di 3,1 miliardi in azioni e circa 800 milioni in obbligazioni subordinate. Molte di queste ultime erano state vendute con contratti che non prevedevano la loro cancellazione in caso di fallimento. Ma questo è un altro discorso: al dunque la somma totale fa 3,9 miliardi.

Ci spostiamo in Veneto e di qualche mese e scoppia il clamoroso flop di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. In questo caso il rosso è più che doppio: si parla di 8,2 miliardi di euro. Il calcolo è fatto prendendo il valore delle azioni che era stato stabilito dagli istituti creditizi in perfetta autonomia (le azioni vicentine non erano infatti quotate); forse si esagera, ma molti dei soci avevano in effetti comprato azioni PopVicenza a 62,5 euro, contro i dieci centesimi, che molto formalmente varrebbero oggi.

Sia chiaro, fino a questo punto stiamo parlando di perdite effettive subite dai risparmiatori. Non ragioniamo minimamente sulle devastanti conseguenze che si verificheranno nel tessuto economico e produttivo legato al sistema delle banche, di fatto, saltate. Arriviamo, fino a questo punto, ad un rosso di circa 13 miliardi di euro. Una manovra finanziaria da lacrime e sangue, ma ancora lontana dai 210 miliardi annunciati.

Gli analisti di ImpresaLavoro però non sbagliano nell’andare a vedere cosa è invece successo nelle 17 banche quotate in Borsa: i nomi più importanti. In cui ci sono migliaia di piccoli risparmiatori italiani, sia direttamente, sia attraverso fondi di investimento. E qui i numeri sono da brivido. Dal 2007 (anno dell’inizio della crisi finanziaria) ad oggi le loro capitalizzazioni di Borsa (che si possono leggere tutti i giorni sui terminali) sono scese di circa 150 miliardi. Ma non basta. Le stesse banche nell’ultimo decennio hanno chiesto al mercato, cioè ai risparmiatori di credere in loro, e di fornire nuovi mezzi attraverso aumenti di capitale: si tratta di ulteriori 50 miliardi.

Ricapitolando, le sole 17 banche quotate a Piazza Affari, tra perdite di valore in Borsa ed aumenti di capitale, hanno bruciato circa 200 miliardi di euro. Parallelamente lo hanno fatto i loro investitori privati. Non sono tutti piccoli azionisti, ma una gran parte sì. Si deve sempre credere che il prezzo di un’azione possa risalire. Non è escluso, ma oggi vista la situazione, non sembra così probabile.

La foto scattata oggi resta, dunque, devastante: in un decennio si sono volatilizzati 210 miliardi di valore del settore bancario. È come se per due lustri i risparmiatori italiani (quelli che in qualche modo avevano titoli del comparto) hanno subito una seconda finanziaria. Quella del governo che gli aumentava le tasse e quella dei banchieri che gli bruciava i risparmi.

È vero, e lo abbiamo scritto tante volte, che chi compra un titolo azionario si assume dei rischi e ne deve essere consapevole. Ma è cosa buona e giusta anche sapere che la classe dirigente del settore, come quella politica, non ha saputo reggere l’impatto della crisi finanziaria. E che non può sfuggire alle responsabilità di un flop così clamoroso.

Banche in crisi, un conto salato

Banche in crisi, un conto salato

Massimo Blasoni – Metro

A quanto ammonta il conto che la crisi del nostro sistema bancario ha presentato ai risparmiatori e agli investitori? Tenetevi forte: oltre 209 miliardi di euro. Il conto è presto fatto. Tre miliardi e 900 milioni è il controvalore complessivo di titoli azionari e obbligazionari subordinati di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Carichieti, andati interamente in fumo nel weekend del 21-22 novembre 2015, in seguito ai provvedimenti di risoluzione emanati dal Governo e da Bankitalia per salvare la parte ‘buona’ di queste quattro banche da anni in stato di crisi. I loro soci si sono così visti letteralmente azzerare il valore dei propri investimenti e senza alcuna chance di recupero poiché sulle nuove banche (che hanno raccolto la parte buona dei vecchi istituti) non possiedono alcun diritto, né patrimoniale né di voto. Gli azionisti di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, poi, in forza del processo di riorganizzazione in atto hanno subìto (o stanno subendo) perdite per complessivi 8,2 miliardi di euro.

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Sacconi (Ap): “Banche, ripensare relazioni di lavoro per migliorare competenze e tutele”

Sacconi (Ap): “Banche, ripensare relazioni di lavoro per migliorare competenze e tutele”

Maurizio Sacconi*

“Nel momento in cui risulta sempre più difficile guadagnare facendo credito, le banche sono impegnate ad utilizzare appieno le nuove tecnologie e ad asciugare gli alti costi operativi che le caratterizzano. Si impone quindi la necessità di una forte politica di gestione del cambiamento attraverso importanti investimenti nelle competenze e nuovi modelli di salvaguardia dei lavoratori anziani in esubero. Da un lato sarà presto necessario ripensare il contratto nazionale e, dall’altro, utilizzare quanto più gli accordi aziendali e individuali per introdurre il lavoro agile a risultato, cambiare la struttura della retribuzione, garantire formazione continua e tutela delle professionalità. Gli stessi fondi di accompagnamento alla pensione potranno essere ripensati quali fondi complementari facendo entrare le aziende di credito nel sistema degli ammortizzatori sociali pubblici”. Lo ha dichiarato il Presidente della Commissione lavoro del Senato Maurizio Sacconi intervenendo all’Abi Forum HR 2016 “Banche e risorse umane”.

*Presidente della Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato

Zaia (Lega): “Sulla banche la Regione Veneto è a disposizione, si faccia chiarezza”

Zaia (Lega): “Sulla banche la Regione Veneto è a disposizione, si faccia chiarezza”

“Sto guardando con attenzione e preoccupazione tutto quello che accade nel sistema del credito del Veneto. Io sono un piccolissimo azionista sia di Veneto Banca che di Popolare di Vicenza. Auguro buon lavoro ad entrambi i vertici ricordando che la Regione è assolutamente a disposizione”. Così Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, oggi a Venezia, in merito alla situazione delle banche popolari in Regione. “Noi – ha continuato Zaia – ci aspettiamo da un lato un bel piano industriale che possa riportare queste banche sul mercato con solidità ed inoltre che si recuperi credibilità. Spero, ed io mi batterò per questo, affinché restino il nostro istituto di riferimento veneto e quindi banche del territorio”.

“Banche – ha aggiunto il governatore – che hanno sempre aiutato i veneti ma è necessario fare chiarezza perché azioni che passano da 60 euro a 0,10 centesimi o da 40 euro a 1 euro o 50 centesimi, sono azioni che hanno avuto comunque un crollo verticale, non giustificabile dai mercati o da altri fattori”. “Questa – ha proseguito Zaia – è un’inquietudine che noi risparmiatori abbiamo in quanto questo valore era stato fissato passando per il vaglio di controllori, di società di revisione, di banca d’Italia e quindi è anche un fatto di credibilità e per questo motivo dobbiamo fare chiarezza. Niente giustizialismo, è importante fare chiarezza. Se c’è qualcuno che ha sbagliato ovviamente dovrà pagare. Resta comunque, da parte mia, la fiducia per le procure che comunque stanno indagando su questi fronti”. Per quanto riguarda la commissione d’inchiesta in Regione, il presidente veneto ha dichiarato: “Sono state fatte molte audizioni e si continuerà. Si aggiunge poi una volontà da parte mia, che ho presentato l’articolo di legge, di dare 300 mila euro come prima tranche per le spese legali e quindi modo a chi non ha possibilità di difendere i propri interessi, penso soprattutto ai piccoli risparmiatori o piccoli consumatori”.

Brunetta (Fi): “Con la Merkel, Renzi ha perso un’altra occasione”

Brunetta (Fi): “Con la Merkel, Renzi ha perso un’altra occasione”

Renato Brunetta (Fi)*

“I quotidiani sottolineano tutti una distensione nei rapporti tra Merkel e Renzi, ma su due punti è chiaro che la Germania non ci sente: gli eurobond per fermare l’immigrazione e le banche, con la evidente differenza di trattamento tra le regole imposte all’Italia e quelle agli istituti tedeschi”. Lo scrive su Facebook Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.

“Renzi ha perso una eccellente occasione per levarsi di dosso, con la doverosa gentilezza dell’ospite, la livrea di vassallo sia pure lievemente dissidente e un po’ ribelle della Germania, ridando un po’ di orgoglio patriottico all’Italia. Una dichiarazione comune sull’impegno per la Libia, con una messa in riga di chi fa i suoi giochetti con le varie fazioni, sarebbe stata bene accetta. Oggi noi appaiamo insieme alla Germania gli alleati di Turchia-Tripoli-Fratelli Musulmani contro Francia e Russia che appoggiano l’Egitto-Tobruk. (America di Obama con molti piedi e molte scarpe)”, conclude Brunetta.

*Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati

Marino (Pd): “Decreto banche? C’è spazio per migliorare sui rimborsi”

Marino (Pd): “Decreto banche? C’è spazio per migliorare sui rimborsi”

Mauro Maria Marino (Pd)*

“C’è spazio di miglioramento sull’oggettività dei criteri” per i rimborsi per gli ex obbligazionisti subordinati di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti. A sostenerlo è Mauro Maria Marino, relatore e presidente della commissione Finanze del Senato, dove è stato avviato l’iter dell’ultimo decreto Banche varato dal governo.

Non ci saranno nuove audizioni di rappresentanti del sistema bancario, già sentiti nell’ambito di un’indagine conoscitiva della stessa commissione, ma saranno ascoltati probabilmente sia i risparmiatori sui criteri legati agli indennizzi sia le imprese sulla parte del decreto legata al recupero dei crediti.

Marino ha precisato che la commissione Finanze avrà come obiettivo quello di “permettere alla Camera di avere un mese di tempo per esaminare il provvedimento. Ho invitato i colleghi ad agire per questo fine”. Se questo invito verrà accolto, ai primi di giugno dovrebbe esserci il via libera di Palazzo Madama e il passaggio del testo a Montecitorio.

* Presidente della commissione Finanze del Senato

Paglia (Si): “Banche, no a interventi che pesano su imprese e famiglie”

Paglia (Si): “Banche, no a interventi che pesano su imprese e famiglie”

Giovanni Paglia*

Il viceministro Morando, partecipando al convegno organizzato da Sinistra Italiana su banche e tutela dei consumatori, ha parlato di accordo raggiunto in sede europea per ampliare il fondo di ristoro per gli obbligazionisti delle quattro banche, e ha riconosciuto il sostanziale fallimento del mercato nella gestione delle sofferenze, preannunciando un prossimo intervento legislativo.

La prima è una buona notizia, che va incontro alle lotte dei risparmiatori e anche alla posizione da sempre sostenuta da Sinistra Italiana, che credeva indispensabile riconoscere l’eccezionalità del caso delle quattro banche. La seconda è da valutare. Noi crediamo che lo Stato debba intervenire direttamente rilevando NPL (Non Performing Loans – prestiti non performanti) con sottostante immobiliare, per liberare i bilanci delle banche e contestualmente rafforzare la dotazione di case popolari e la promozione di nuove esperienze imprenditoriali.

Sarebbe invece del tutto sbagliato limitarsi, come adombrato dal vice ministro, a intervenire sulle procedure concorsuali e sugli incentivi ai fondi speculativi. In questo caso a pagare sarebbero ancora una volta famiglie e imprese in difficoltà. E questo è inaccettabile.

* Deputato di Sinistra Italiana, componente della commissione Finanze