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Solo a settembre 307 mazzate fiscali

Solo a settembre 307 mazzate fiscali

Antonio Spampinato – Libero

Matteo Renzi si è preso 1.000 giorni di tempo per portare a termine la sua agenda di riforme: si va dal lavoro, allo snellimento della pubblica amministrazione, alla giustizia, al fisco, al ridisegno delle istituzioni. Un’indiretta ammissione sull’impossibilità di fare qualcosa di conclusivo nei primi 122 giorni di governo, bollando, di fatto, le precedenti promesse come irrealizzabili, quantomeno nei tempi programmati al momento del suo insediamento. «L’Italia cambia. Con calma e il passo giusto arriviamo dappertutto››, ha detto. Mettiamoci comodi, dunque, che fretta c’è. A proposito di fisco – e a proposito di riforme – ci permettiamo di segnalare che tra i numeri elencati nel corso della conferenza stampa il premier ne ha dimenticato uno, particolarmente caro a tutti: quello relativo alle scadenze fiscali. E, a questo proposito, settembre è uno di quei mesi da bollino rosso.

Tra Irpef, cedolare secca e addizionali varie, il portafoglio si prosciuga, ma soprattutto impazzisce, dovendo stare dietro a un numero spropositato di adempimenti. Il fisco amico, quello aperto al dialogo con i contribuenti, solo per il mese di settembre ha infatti fissato 371 appuntamenti con le famiglie e le imprese italiane. Di questi, 307 riguardano versamenti veri e propri, 17 sono dichiarazioni, 19 comunicazioni, 3 adempimenti contabili, 18 ravvedimenti e 7 tra richieste, domande e istanze. Non tutte da onorare da tutti, ovviamente.

Quello che però vorremmo mettere in risalto sono le catene che legano i contribuenti al fisco, l’esagerato numero di adempimenti che gli italiani sono costretti a segnarsi in agenda per non finire nel libro nero degli evasori. Persino i commercialisti faticano ad aggiornare i loro database, visti i continui ripensamenti e, purtroppo, aggiunte, che i burocrati sfornano in continuazione, quasi non facessero parte anche loro del tartassato mondo dei contribuenti italiani.

Ieri è stato il giorno della prima scadenza del versamento di Irpef addizionali e cedolare secca per i contribuenti non titolari di partita Iva che hanno rateizzato il primo acconto 2014. Dei 51 versamenti previsti, 7 riguardavano l’Irpef, 8 le addizionali, 4 la cedolare secca e poi l’Iva (1), imposte di registro (3) e imposte sostitutive (4). Sotto la voce “altro”, ci sono scadenze quali il versamento dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di luglio 2014 nonché gli eventuali conguagli dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di giugno 2014. Martedì 16 sono previste ben 206 scadenze, di cui 205 relative a versamenti: sempre per Irpef, addizionali e cedolare secca, è fissata la scadenza per i contribuenti titolari di partita Iva che hanno rateizzato il primo acconto 2014. Inoltre, per i pensionati, è previsto il versamento della quota del canone Rai.

E si arriva a venerdì 19 con l’invio del modello 770 relativo all’anno 2013. Ma gli adempimenti del mese di settembre si chiuderanno martedì 30 con l’invio del modello Unico 2014 e del modello Irap 2014. Oltre a 51 diversi tipi di versamenti, anche questi suddivisi per tipologia di contribuente. Ma non è finita qui: a settembre si tornerà a parlare anche di Tasi. Mercoledì 10, infatti, i Comuni devono approvare e inviare alle Finanze le delibere sulla Tassa sui servizi indivisibili, la nuova imposta comunale istituita dalla legge di stabilità 2014. E martedì 30 i Comuni devono approvare il bilancio di previsione (comprese le aliquote Imu e le tariffe Tari, la tassa sui rifiuti). Sul sito dell’Agenzia delle entrate, proprio per venire incontro alla necessaria esigenza di trasparenza, il fisco, sempre quello amico, invece di tagliare con l’accetta il numero di scadenze, ha preferito pubblicare un comodo calendario in cui cittadini e imprenditori possono cliccare su decine, centinaia di link per capire in quale modo possono contribuire al risanamento dei conti pubblici e al rilancio del Paese. La suddivisione è fatta per adempimento e per tipologia di contribuente. Il tutto consultabile standosene seduti davanti al computer di casa o dell’ufficio. Comodo no?

Imu, Tasi e Tari: il percorso (impossibile) delle tasse sulla casa

Imu, Tasi e Tari: il percorso (impossibile) delle tasse sulla casa

Gino Pagliuca – Corriere della Sera

È cominciato l’autunno delle tasse sulla casa. Da qui a metà dicembre infatti il calendario è punteggiato di appuntamenti che riguarderanno in pratica tutti coloro che occupano un’abitazione. Tre sono i tributi che incombono: la Tasi, a carico del proprietario se la casa non è locata, altrimenti va suddivisa tra proprietario (che deve pagare tra il 70 e il 90%) e l’inquilino; la Tari (tassa sui rifiuti) dovuta da chi occupa l’immobile; l’Imu, sempre a carico del proprietario. Oltre al danno c’è spesso la beffa: oltre a dover pagare, molti contribuenti dovranno farlo in tempi stretti perché le amministrazioni comunali se la stanno prendendo comoda con le delibere delle tariffe. Dal data base presente sul sito del ministero delle Finanze ieri risultava infatti che su un complesso di 8.057 Comuni italiani sono state pubblicate 3.243 delibere Imu, 4.567 delibere Tasi e 2.982 delibere Tari. Ma vediamo che cosa succederà nei prossimi mesi tributo per tributo.

Tasi: il rebus di acconti e saldi
E cominciamo dalla Tasi, la nuova tassa sui servizi indivisibili. Per i tempi di pagamento bisogna tener conto dell’epoca della pubblicazione della delibera sul sito www.finanze.it. Nei circa duemila Comuni in cui le amministrazioni sono riuscite a pubblicare entro fine maggio e che non abbiano deciso tempistiche diverse, i contribuenti hanno già pagato la prima rata entro il 16 giugno e dovranno versare il saldo entro il 16 dicembre. Nei Comuni che avranno deliberato le aliquote tra inizio giugno e il 10 settembre, con pubblicazione entro il 18 settembre, i contribuenti dovranno versare la prima rata entro il 16 ottobre e il saldo il 16 dicembre. In questa situazione si trovano, tra gli altri, i proprietari di casa di Milano e di Roma. Ci sono però ancora circa 3.500 amministrazioni che hanno solo poco più di due settimane di tempo per deliberare. Nei Comuni che infine non pubblicassero entro il 18 settembre la delibera, si pagherà tutto a saldo il 16 dicembre: i proprietari di abitazione principale dovranno pagare sulla base dell’aliquota dello 0,1%; sugli immobili diversi dall’abitazione principale invece si pagherà lo 0,1% solo se l’aliquota Imu non supera lo 0,96%, altrimenti si pagherà un’aliquota che sommata a quella dell’Imu arrivi all’1,06% (esempio se l’aliquota Imu 1,03%, la Tasi sarà allo 0,03%). Siccome si parla tanto in questi mesi di semplificazioni diciamo che in questo campo c’è molto spazio per esercitarsi. La base imponibile della Tasi è la stessa dell’Imu ma il meccanismo delle detrazioni per la prima casa è diverso da quello del vecchio tributo perché i Comuni hanno un’ampia discrezionalità nel determinare le agevolazioni. Per questo se si vuol fare da sé (i comuni non mandano infatti i modelli F24 precompilati) è necessario leggere attentamente la delibera sul sito del ministero. Da mesi infuria la polemica se la Tasi sulla prima casa sia più cara rispetto all’Imu. Una risposta univoca, basata su medie alla Trilussa, non sarebbe attendibile. Rimane però chiaro che il meccanismo della Tasi è più «regressivo» rispetto a quelle dell’Imu, nel senso che favorisce i proprietari di immobili di alto valore fiscale e penalizza le case piccole. Nella tabella che abbiamo elaborato si evidenzia, ad esempio, che una casa civile di 70 metri quadrati a Milano paga 228 euro, 63 in più rispetto all’Imu 2012; un’abitazione medio signorile di 120 metri, invece, paga 530 euro, con un risparmio di 118 rispetto a due anni fa. A Roma, dove l’aliquota Imu era dello 0,5%, si risparmia praticamente sempre. Tra le città da noi considerate il peggiore aggravio l’avrà Frosinone: per la casa da 70 metri nel 2012 il proprietario non pagava e ora dovrà sborsare 121 euro.

Tari: la caccia alla posizione tributaria
Minori incombenze per la Tari, nuove denominazione della tassa sui rifiuti. Per pagare bisogna infatti aspettare la richiesta del Comune: di norma viene calcolata una prima parte in acconto sulla base della tariffa del 2013 e il saldo a conguaglio sulla base della tariffa nuova. Ai Comuni è lasciata anche per quest’anno la facoltà di usare, adeguandole, le vecchie tariffe Tarsu ma la maggior parte delle amministrazioni già lo scorso anno aveva adottato un sistema di determinazione dei costi per il residenziale basato sull’incrocio tra numerosità del nucleo familiare e superficie dell’alloggio. Il calcolo, una volta che si disponga della delibera, non è particolarmente complesso ma farselo non servirebbe a nulla. Per pagare infatti è necessario indicare nel modello F24 il numero della posizione tributaria di cui evidentemente non si dispone. Nei Comuni che non hanno variato metodologia di calcolo la tariffa è rimasta simile a quelle del 2013. Da un’analisi di Federconsumatori emerge che una famiglia con tre persone in una casa di 100 metri quadrati a Milano quest’anno risparmierà 7 euro, a Roma pagherà lo stesso e a Lodi spenderà 49 euro in più. Al saldo della tassa del 2013, però, si era pagato un contributo fisso (pari a 0,30 centesimi per metro quadrato) a titolo di contributo per i servizi indivisibili, ora è assorbito dalla Tasi.

Imu: percorso collaudato
Nessuna novità infine per l’Imu, che si paga ancora per le abitazioni principali di categoria A/1, A/8 e A/9 e per tutti gli immobili diversi dalla abitazioni principali. Nelle grandi città l’aliquota era già al massimo nel 2013 e non potrà aumentare. Se il Comune non delibera si paga sulla base dell’aliquota 2013. La prima rata è stata versata il 16 giugno, la scadenza del saldo è fissata per il 16 dicembre. Chi possiede un’abitazione non affittata nello stesso comune in cui ha anche l’abitazione principale dovrà pagare anche l’Irpef sul 50% del valore catastale dell’immobile a disposizione. Per il saldo però potrà aspettare la liquidazione dell’Unico o del 730, a giugno 2015.

Le case nel labirinto dei prelievi locali

Le case nel labirinto dei prelievi locali

Raffaele Lungarella – Il Sole 24 Ore

Anche quest’anno i proprietari di immobili sono costretti ad aspettare l’autunno per sapere esattamente quanto pagheranno di imposte. Ma nelle prossime settimane potrebbero delinearsi anche diverse novità per il fisco immobiliare, destinate a riflettersi pure nel 2015.
Nel giro di dieci giorni i Comuni sono chiamati a deliberare le aliquote della nuova Tasi, l’imposta sui servizi comunali indivisibili che può colpire le prime case, ma anche – a scelta dei Comuni – tutti gli altri immobili (addossando all’inquilino, nel caso di fabbricati locati, una quota tra il 10 e il 30% del tributo).
Di fatto, poco meno di 2.200 Comuni su 8mila hanno deliberato le aliquote Tasi in tempo per il pagamento dell’acconto. Ora i Comuni ritardatari devono accelerare: entro il 10 settembre devono approvare e inviare le loro decisioni al sito internet del dipartimento delle Finanze, per consentirne la pubblicazione entro il 18 settembre e dare la possibilità ai contribuenti (che non l’hanno già fatto a giugno) di versare l’acconto entro il 16 ottobre. Il saldo, per tutti deve essere pagato entro il 16 dicembre. Termine entro il quale dovranno versare, in un’unica soluzione, l’imposta anche i contribuenti dei Comuni che continueranno a non deliberare: in questo caso per il calcolo si applicherà l’aliquota dell’1 per mille. Entro quella data dovrà essere versato anche il saldo dell’Imu (che si applica su tutti gli immobili diversi dalle abitazioni principali non di lusso).
Il prossimo 31 dicembre è una data importante per chi vuole ottenere il massimo vantaggio dai bonus sui lavori edilizi. Fino a quella data il l’ecobonus, relativo alle singole unità immobiliari, porta in dote una detrazione fiscale del 65% della spesa sostenuta; nel 2015 la percentuale passa al 50 per cento. Per le ristrutturazioni edilizie la detrazione passa dal 50% al 40 per cento. Attenzione, però: il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha annunciato che con la legge di stabilità per il 2015 si lavorerà per la proroga di entrambe le misure (in un primo tempo, invece, sembrava che la proroga del 65% potesse finire già nel pacchetto “sblocca-Italia”) .
Una spinta per rimettere in moto il mercato della casa è attesa anche dalle norme annunciate che permetteranno di portare in detrazione, per alcuni anni, una parte del prezzo di acquisto di una casa nuova o completamente ristrutturata a condizione che l’acquirente la affitti a canone concordato. Se funziona si dà una mano a smaltire lo stock di appartamenti invenduti accumulato con la crisi e si aumenta l’offerta di case in affitto a canone contenuto. Molto dipenderà però dalla formulazione finale del testo di legge, che dovrà passare attraverso la conversione del Parlamento.

Massimo Blasoni: «Per tornare sani servono 28 anni, non mille giorni»

Massimo Blasoni: «Per tornare sani servono 28 anni, non mille giorni»

Chiara Daina – Il Fatto Quotidiano

La risposta per le rime a Renzi arriva da Massimo Blasoni, 49 anni, imprenditore udinese, che ha comprato un’intera pagina su Il Giornale di ieri. Due tondi, una con la foto del premier come è adesso, l’altro con un fotomontaggio che lo ritrae anziano e canuto. Sotto, la scritta “Torneremo ai livelli del 2008 quando Renzi avrà 67 anni”. Non è una stima sparata a caso. All’inizio di agosto Blasoni ha fondato il centro studi ImpresaLavoro, che ha ipotizzato il conto e di cui fa parte anche Salvatore Zecchini, presidente del gruppo di lavoro dell’Ocse su Pmi e imprenditoria.
Come è venuto in mente di comprare una pagina di giornale?
«Volevo comunicare a Renzi con un linguaggio schietto e mediatico come il suo. Il governo aveva previsto un livello di crecita del Pil dello 0,8 per cento. Balle. Per tornare ai livelli pre-crisi, considerando una crescita media tra il 2008 e il 2014 dello 0,3%, ci serviranno altri 24 anni».
Cosa le fa più paura?
«Quella di Renzi è solo una politica degli annunci. La pressione tributaria non è diminuita. Nessuna semplificazione burocratica per le imprese e nessuna facilitazione per l’accesso al credito. Imsomma, zero segnali di ripresa, nonostante le belle parole. Lo sa quanto costano i ritardi nei pagamenti della Pa alle imprese?».
Quanto?
«Cinque miliardi di euro l’anno. Lo abbiamo calcolato nella nostra prima ricerca».
Lei ha votato Renzi?
«No, anche se all’inizio gli davo fiducia. Ma di riforme vere finora neanche l’ombra. Renzi è un politico di vecchio corso con una faccia da giovane. Ma noi l’abbiamo già invecchiato».
Due idee fiscali per il governo (a costo zero) per mobilitare risorse private

Due idee fiscali per il governo (a costo zero) per mobilitare risorse private

Andrea Tavecchio – Il Foglio

Negli ultimi tempi il tono della discussione sulla crisi italiana, che dura da sette lunghissimi anni, ha preso una direzione quasi unanime. Non è più sufficiente l’ordinaria amministrazione ci vuole una terapia d’urto. Le soluzioni proposte sono tante. Accanto a ricette più classiche – ma troppe volte rimandate – come una riduzione significativa delle imposte su chi produce reddito accompagnata da una seria spending review e da una modernizzazione dei contratti di lavoro sulla scia delle proposte del senatore Ichino, si comincia a leggere, finalmente, sia delle necessità di intervenire – con modalità simili a quanto già avvenuto in altri paesi Europei – sulle sofferenze bancarie sia di mobilitare centinaia di miliardi di euro facendo leva sul patrimonio pubblico. Tutte ipotesi da realizzare al più presto, senza ulteriori indugi anche perché queste manovre, come ricordato anche dal ministro Padoan, ci mettono almeno diciotto mesi per dare dei frutti visibili. Non c’è tempo da perdere. Quello di cui si discute ancora poco è di come mobilitare le risorse private. In Italia bisogna cambiare marcia nel rapporto tra fisco e contribuente, l’obiettivo deve essere far pagare le tasse, ma senza bloccare i consumi e gli investimenti.

Qui di seguito due proposte. Il governo si impegni perché l’ordinamento tributario italiano si doti di una norma, di rango costituzionale, che riconosca il principio della certezza dei rapporti giuridici in materia fiscale, rafforzando i principi di irretroattività e di affidamento previsti dallo Statuto del contribuente. La seconda proposta è modificare il modello Unico delle persone fisiche – inserendo nella dichiarazione dei redditi anche la situazione patrimoniale – come accade in molti altri Paesi occidentali. Dalla dichiarazione dei redditi si deve poter confrontare, anno per anno, il reddito netto dichiarato con le dotazioni patrimoniali esistenti. In questo contesto, di maggiore certezza nel rapporto fisco-contribuente e con una dichiarazione dei redditi finalmente moderna il Governo potrebbe impegnarsi, per chi pagasse un contributo straordinario, ad accorciare i termini di accertamento sulle persone fisiche. Sarebbe una riforma fiscale non depressiva, anzi, farebbe gettito e modernizzerebbe – in modo duraturo – il rapporto tra Fisco e Contribuente.

Dalla Tasi meno incassi rispetto alla vecchia Imu

Dalla Tasi meno incassi rispetto alla vecchia Imu

Antonio Pitoni – La Stampa

Per carità, il dato e ancora parziale e riguarda solo 2.178 comuni italiani. Circa un quarto del totale. Ma dopo le polemiche che avevano investito la transizione dalla vecchia Imu alla nuova Tasi è certamente sorprendente. Perché nelle amministrazioni che hanno già deliberato (entro la prima scadenza del 23 maggio) l’aliquota del nuovo tributo, il gettito stimato a fine 2014 sulle prime case è di 1,2 miliardi di euro, il 29,3% in meno rispetto agli 1,6 miliardi del 2012, ultimo anno in cui si pagava ancora l’Imu. Mentre i versamenti sulle seconde case e sugli «altri immobili» fanno registrare una sostanziale stabilità, con una crescita dello 0,15% (11 milioni). Insomma, almeno per ora, chi aveva ventilato il rischio di rincari e nuove stangate con il passaggio alla Tasi, sembra essere stato smentito. Ma è bene precisare che si tratta, per adesso, solo di una tendenza. Dal momento che mancano ancora all’appello i dati dei restanti Comuni (circa i tre quarti del totale). Quelli che, verosimilmente, aumenteranno le aliquote per far quadrare i bilanci. Ed è molto probabile che il gettito complessivo torni a salire compensando parte di quel gap di quasi il 30% che oggi separa, per difetto, gli introiti della Tasi rispetto all’Imu. Insomma, una buona notizia per i cittadini, certamente meno per le amministrazioni.

Una politica fiscale espansiva per curare la deflazione

Una politica fiscale espansiva per curare la deflazione

Francesco Saraceno – Il Sole 24 Ore

Non è stato un bel mese d’agosto per l’economia europea. La notizia che ha catalizzato l’attenzione è stata la brusca frenata della Germania. Tra aprile e giugno, nessuna delle tre maggiori economie dell’eurozona è cresciuta. Questa è una cattiva notizia, perché la ripresa sembra già finita (dove è iniziata), e perché dimostra che contare quasi esclusivamente sulle esportazioni espone l’economia agli shock esterni (vedi per la Germania la crisi ucraina).

Ma la notizia peggiore è un’altra. Nel numero di agosto del bollettino mensile della Bce, a pagina 53, si trova un grafico che dovrebbe far passare notti insonni a Mario Draghi e ai leader europei: mostra che il consenso degli analisti sull’inflazione si è fortemente modificato. Un anno fa più del 50% si diceva convinto che nel medio peridodo l’inflazione sarebbe tornata al 2% o oltre, oggi la percentuale è poco più del 35%. Può sembrare che si parli di uno di quei dati esoterici che interessano solo gli addetti ai lavori, ma le aspettative hanno costituito il pilastro della strategia della Bce durante la crisi (soprattutto negli ultimi mesi). La prudenza di Francoforte e la resistenza alle sollecitazioni per una strategia più aggressiva di contrasto alla deflazione, si basavano sull’idea che le aspettative di medio periodo fossero stabili e “ancorate” al 2% di inflazione, obiettivo della banca centrale. Anche di fronte ai nuovi dati la Bce sembra optare per la strategia dello struzzo: a poche pagine di distanza si legge che «le aspettative di inflazione per l’area dell’euro nel medio-lungo periodo continuano a essere saldamente ancorate in linea con l’obiettivo di mantenere il tasso di inflazione inferiore, ma vicino al 2%».

In questi mesi il mantra della Bce è stato che la stabilità delle aspettative rendeva remoto il rischio deflazione, nonostante un tasso di variazione dei prezzi che si avvicinava allo zero. Era l’ultimo bastione che consentiva di sperare in una ripresa della spesa per consumo e investimenti. Se i mercati iniziano a prevedere, anche nel medio periodo, una situazione di deflazione strisciante, è facile stimare che la dinamica futura della spesa privata rimanga anemica: famiglie e imprese tenderanno a rinviare la spesa, attendendosi prezzi più bassi di oggi. È il rischio della deflazione. 

I dati sulle aspettative spingono a credere che non esista più alcun ostacolo tra noi e una stagnazione di tipo giapponese (durata più di un decennio). Non c’è riforma che tenga; è difficile individuare, oggi, una dinamica autonoma che porti l’economia a lasciarsi alle spalle la crisi e se l’economia si trova invischiata in una stagnazione dalla quale non è in grado di uscire da sola non si può che puntare sulla politica economica. I riflettori sono tutti puntati sulla Bce, probabilmente anche per la sua eccessiva prudenza.

Ma anche se la Bce adottasse una politica più aggressiva è dubbio che questo basterebbe a rilanciare la crescita. Il bollettino della Bce riporta anche i risultati dell’ultima inchiesta (giugno 2014) sulle condizioni creditizie nell’Eurozona: il mercato del credito è anemico non solo perché le istituzioni finanziarie esitano a prestare, ma anche perché imprese e famiglie non domandano credito. Anche se il quadro è eterogeneo, e per alcuni paesi i vincoli creditizi possono avere un ruolo nel mantenere la spesa privata anemica (in Italia per esempio), aumentare l’offerta di credito, come dovrebbe fare la Bce in autunno, potrebbe avere meno effetti di quanto non si creda. L’economia europea è ancora invischiata in una trappola della liquidità. Procedendo per esclusione, non rimane che uno strumento da usare: una politica fiscale espansiva, che significa forte aumento della spesa pubblica (soprattutto per gli investimenti) nei paesi che possono permetterselo (la Germania, per cominciare) e una pausa nel consolidamento fiscale dei paesi le cui finanze pubbliche sono meno solide (Italia in primis). La Bce potrebbe e dovrebbe accompagnare queste politiche con l’impegno a non aumentare i tassi fin quando l’inflazione non sarà stabilmente risalita e la crescita non sarà tornata robusta.

Quando il caos fiscale non aiuta i consumi

Quando il caos fiscale non aiuta i consumi

Mauro Meazza – Il Sole 24 Ore

Nel dubbio (fiscale) non spendere: l’accostamento tra incertezze tributarie e flessione dei consumi potrà sembrare azzardato, eppure mai come in questi anni di crisi il Fisco è diventato via via più indecifrabile. Proviamo a fare qualche esempio, limitandoci alla tassazione locale su prime e seconde case. Sappiamo dire, oggi, quanto pagheremo di Tasi? E sappiamo quando pagheremo, se a ottobre oppure a dicembre? E quanto ci chiederanno di Tari? E riusciamo a capire, infine, se la nuova Iuc, l’imposta cosiddetta “unica” comunale, sarà più o meno costosa della (incredibilmente) compianta Ici?

A tutte queste domande, per tutti o per molti di noi, la risposta è sempre no. E sono incognite da centinaia e centinaia di euro, incarognite per di più da regole continuamente in manutenzione. Tanto per confondervi le idee: più di quattromila Comuni (oltre la metà del totale) devono ancora decidere le percentuali di prelievo della nuova tassa sui servizi indivisibili, quella che colpisce anche le prime case (si veda «Il Sole 24 Ore» di lunedì scorso); per la tassa sui rifiuti, quella che ora si chiama Tari, l’importo totale del 2014 si conoscerà a fine settembre; e il conto totale per proprietari di case e inquilini lo scopriremo a dicembre quando finalmente avremo chiare le aliquote e le (eventuali) detrazioni.

Già, le detrazioni. Altra parola gravida di incertezze, questa volta in ambito statale e non più locale: le esigenze di bilancio potrebbero infatti imporre la riduzione degli sconti Irpef (ossia, una buona parte delle cosiddette tax expenditures). E una norma già minacciosamente vigente dà al Governo il potere di intervenire se i tagli alla spesa pubblica improduttiva non fossero sufficienti. Per dirla fuori dal fiscalese: il sollievo oggi concesso dall’Irpef per voci di uso comune, come i farmaci o i mutui casa, potrebbe ridursi dall’attuale 19% a un “19 meno X per cento” (non è un refuso, semplicemente non si conosce la nuova percentuale), per un impatto complessivo fino a 3 miliardi. Se succederà, sarà l’anno prossimo ma intanto, nel dubbio, meglio mettere da parte.

Anche perché a questo quadro potremmo aggiungere le chiacchiere estive su ulteriori contributi di solidarietà a carico delle pensioni o persino la revisione del prelievo sui tabacchi, annunciata per il nuovo anno. E dovremmo poi considerare – se dalle possibili uscite vogliamo passare alle entrate – gli stipendi che crescono al rallentatore (a luglio, come riferiamo qui accanto, l’Istat segnala un 1,1%, il valore più basso dal 1982) o magari gli anni di mancati adeguamenti al costo della vita per i pensionati. Ma vogliamo risparmiare anche noi, almeno sulla pazienza dei lettori: serve già parecchio tempo per stimare quanto mettere da parte per i prossimi debiti tributari. E, se non bastasse un commercialista, potremmo sempre chiedere a un astrologo.

Tutto il resto è fuffa

Tutto il resto è fuffa

Giorgio Mulé – Panorama

Mettetevi nei panni di Joe, un americano in vacanza a Roma. Negli States essere ricco non è un reato; possedere due case non fa di un cittadino il perfetto obiettivo del fisco; avere messo soldi da pane non lo fa somigliare a un evasore fiscale. Joe è un marziano ai nostri occhi. Atterra a Fiumicino e scopre che l’Italia deve rinviare le sue previsioni di bilancio per ricalcolare il Prodotto interno lordo. Accipicchia, o meglio woooow!, pensa: gli italiani si sono rimessi in moto e stanno superando la crisi. Ecco, dear friend, le cose stanno un po’ diversamente: ce l’ha presente Johnny Stecchino nel bellissimo movie di Robeno Benigni? Beh sì, insomma noi ricalcoleremo il nostro Pil alla luce delle previsioni di Cosa nostra su tre settori: andamento del mercato della droga, della prostituzione e del contrabbando.

Tutto perfettamente illegale. Joe, it’s not a joke, non si scherza affatto: aumenteremo il nostro Pil, avremo pure big benefici nei conti pubblici. Manco fa in tempo a smettere di ciondolare la testa di qua e di là, farfugliando qualcosa che somiglia a un intraducibile «what the fuck…››, che gli capita di leggere la proposta di un signore che conosce bene perché ha conquistato gli States con i megastore Eataly. Mister Oscar Farinetti, renziano della prima ora, è quel che si dice un ambasciatore dell’Italia nel mondo. Già in predicato di fare il ministro, dà la sua ricetta per mettere a posto la spesa previdenziale: «Ci vuole una bastonata: tetto massimo di 3.000 euro netti, bastano e avanzano per vivere» sentenzia. E quelli che prendono di più, cioè i 600mila italiani che hanno versato contributi per 40 anni? La risposta è facile, caro Joe, basterebbe ricordarsi come si traduce in americano «cazzi loro» però va bene anche «what the fuck. ..».

Passata la pagina di economia dove il suo connazionale Bob Wilt, presidente del colosso Alcoa, annuncia la chiusura definitiva dello stabilimento di Portovesme in Sardegna con 455 lavoratori a spasso perché, dear italians, «le ragioni di fondo che rendevano non competitivo l’impianto non sono purtroppo cambiate», il nostro Joe decide che è tempo di lasciarsi alle spalle tanta mestizia e rigenerare lo spirito con una visita alla Casa di Augusto in occasione del bimillenario della morte dell’imperatore. È obbligatorio prenotare, al centralino parlano anche in inglese. Wonderful. Peccato che dopo 10 minuti d’attesa, Joe viene invitato a richiamare «tra qualche giorno» perché la Soprintendenza deve fissare ancora le regole per le visite. D’altronde hanno avuto sono duemila anni per farlo. Ci risiamo col bisbiglio: «What the fuck…» lasciamo Joe al suo disgusto e concentriamoci un momento su di noi.

La realtà dell’Italia è esattamente quella che avete letto, se non peggio. E allora, visto che s’ode di nuovo la rumba degli annunci, sarà il caso di mettere in fila le priorità. Sono due: lavoro e giustizia. Si lasci perdere la fuffa, si eviti l’effetto grigliata mista mettendo sul fuoco provvedimenti dall’indiscusso valore mediatico ma dalla scarsissima possibilità di vedere la luce. L’Italia riparte se si mette mano in profondità in quei due settori con il concorso di tutti perché, come per le riforme istituzionali, rappresentano un terreno comune dove le forze politiche responsabili possono e devono incontrarsi. Lavoro e giustizia hanno priorità assoluta: da lì passano sviluppo, competitività e credibilità, soprattutto nei confronti degli investitori esteri. ll resto, come direbbe Obama, è horseshit.

Sommersi da una valanga di regole fiscali

Sommersi da una valanga di regole fiscali

Sergio Rizzo – Corriere della Sera

Bravissimi a «incasinare le cose semplici», abbiamo «un sistema fiscale che è quanto di più assurdo, farraginoso e devastante si possa immaginare». Diagnosi pressoché perfetta, quella di Matteo Renzi. Così perfetta che di fronte a questa realtà certe promesse, condite dalla convinzione che «se ci impegniamo le tasse possiamo pagarle con un sms» sembrano fantascienza. Inarrestabile nel fare la pulci alla burocrazia, l’ufficio studi della Confartigianato si è preso la briga di contare le norme in materia fiscale che sono state emanate di volta in volta dai quattro governi che si sono succeduti dal 29 aprile 2008 all’8 agosto 2014. Sono la bellezza di 691, in 46 diversi provvedimenti. Una massa imponente di regole e disposizioni che si sono andate ad aggiungere al mucchio, già inverosimile, di leggi e circolari. E di quelle 691 norme, ben 418 hanno avuto un impatto burocratico sulle imprese, rendendo ancora più complessi gli adempimenti. Il tutto mentre le disposizioni che avrebbero dovuto facilitargli la vita, sempre fiscalmente parlando, si sono fermate a 96. Facendo la differenza fra i due dati, salta fuori un «saldo burocratico», come lo definisce la Confartigianato, di 322. Il che fa concludere che nei 2.292 giorni presi in esame il nostro fisco si è complicato al ritmo di una norma alla settimana. Esattamente, una ogni 7,1 giorni. Sabati, domeniche e feste comandate comprese. E poco importa che la maggioranza delle regole «complicatrici» abbia avuto effetti contenuti, considerando che quelle il cui impatto è considerato tragicamente insostenibile sono «soltanto» 29 su 4.18. Il fatto è che quella «tela di Penelope» capace di rendere il sistema sempre più intricato, lento e costoso hanno continuato imperterriti a tesserla di giorno e smontarla di notte. Se è vero, nei sei anni presi in esame, che per ogni norma di semplificazione ne sono state approvate 4,3 di complicazione.

Il record assoluto è stato conseguito nel 2013, anno per due terzi governato da Enrico Letta. L’organizzazione degli artigiani ha calcolato un «saldo burocratico» di ben 93 norme. Una ogni 3,9 giorni. Al secondo posto il 2012, interamente sotto la responsabilità del governo di Mario Monti, con il «saldo burocratico» arrivato a 70. Vero è che anche l’esecutivo di Silvio Berlusconi ci aveva messo del suo, con un «saldo»paria 142. Ma in tre anni e mezzo. E Renzi? Il governo dell’ex sindaco di Firenze, afferma il dossier della Confartigianato, «ha emanato sette provvedimenti con 75 norme di carattere fiscale di cui 24 semplificano, 11 sono neutre e 40 hanno impatto burocratico sulle imprese». C`è però da dire che le semplificazioni sono quasi tutte concentrate (23 su 24) nel decreto sulle dichiarazioni precompilate esaminato dal Consiglio dei ministri a giugno ma ancora da approvare. Forse domani: vedremo. E se nella valanga abbattutasi dal 2008 sulle imprese potrebbe essere quello il provvedimento con il migliore «saldo burocratico», alla luce dell’andazzo di questi sei anni non possiamo che considerarlo per ora solo un segnale.

La corda è davvero tesa all’inverosimile. Il segretario generale della Confartigianato Cesare Fumagalli sostiene che non c’è da perdere un minuto: «Il gioco di ridurre una tassa e poi aumentarne altre perché serve gettito per coprire le spese sta ammazzando le pecore, tosate già oltre ogni limite. Senza interventi immediati che riducano gli oneri fiscali per le imprese si rischia davvero grosso. Se non ora, quando?». Tornano alla mente le parole con cui il ministro delle Finanze Antonio Gava debuttò in un’audizione parlamentare: «La prima cosa, urgentissima, per potenziare la lotta all’evasione fiscale, è la semplificazione del sistema tributario». Correva l’anno 1987. Sei anni dopo, era il 1993, il suo successore Franco Reviglio firmava il decreto istitutivo di una commissione per la semplificazione della normativa fiscale. Finita nel nulla. Neanche quindici mesi e il primo governo Berlusconi, ministro il «Reviglio boy» Giulio Tremonti, faceva trapelare un progetto superavveniristico. Titolo dell’Ansa del 5 agosto 1994: «Fisco, verso pagamento tasse con bancomat». Rincarava la dose il ministro Augusto Fantozzi, il 24 maggio 1995: «Grosse novità dal ddl semplificazione fiscale››. E nel 2001, mentre gli sportelli automatici delle banche erano in attesa di avvistare il primo contribuente e delle «grosse novità» non c’erano ancora tracce. Tremonti dichiarava: «Grazie al regolamento sulla semplificazione del Fisco in Italia si avranno 190 milioni di atti amministrativi in meno». Da allora non c’è stato governo che non abbia garantito un Fisco più facile e amico dei cittadini e delle imprese. L’ha promesso il centrodestra e l’ha promesso il centrosinistra. L’ha promesso il governo tecnico e l’ha promesso quello delle larghe intese. Ma ondeggiando arditamente tra bancomat, sms e dichiarazioni precompilate alla francese, siamo sempre li. Sempre più sommersi da commi, circolari e regolamenti. Inchiodati a quel 1987, quando la semplificazione era considerata urgentissima. Quando Reagan e Gorbaciov firmavano il trattato sugli euromissili, la Cbs trasmetteva in America la prima puntata di Beautiful, al maxiprocesso di Palermo la cupola di Cosa nostra veniva condannata all’ergastolo.