Gli italiani tagliano anche la benzina
Gian Maria De Francesco – Il Giornale
L’economia non è una scienza esatta, ma un suo postulato pressoché inconfutabile recita che in periodi di recessione non si possono applicare politiche di bilancio estremamente restrittive (tipo aumentare le tasse sperando di fare meno deficit) perché altrimenti la crescita non ritornerà per molto tempo. L’Italia ha spesso ignorato questa semplice regola e, dopo 7 anni di vacche magre, i risultati sono sempre più modesti.
Un esempio lampante viene dal Centro Studi Promotor (Csp) che ha analizzato i consumi di carburanti nei primi otto mesi del 2014. Ebbene, l’utilizzo di benzina e gasolio è diminuito dell’1,4%, la spesa per il loro acquisto è calata del 2,8%, mentre il gettito fiscale ha subito solamente un leggero decremento dello 0,5% annuo a 23,5 miliardi di euro. Questi dati, secondo il presidente di Csp Gian Primo Quagliano, dimostrano che «è stato superato il limite oltre il quale l’aumento dei prezzi deprime i consumi». I prelievi fiscali record sui carburanti – con il continuo aumento delle accise (ed è in arrivo un’altra mazzata) unito a quello dell’Iva – hanno creato questa situazione paradossale: si preferisce lasciare il mezzo di locomozione fermo o si cerca di risparmiare al massimo. «È venuto il momento di ridurre la tassazione», conclude Quagliano sottolineando che anche il bilancio dello Stato ne avrebbe beneficio, poiché più consumi equivalgono a maggiori entrate. Non è un caso che tra il 2007 e il 2013 le vendite di benzina e di gasolio abbiano registrato una contrazione del 20 per cento.
La stessa immagine, riferita però ad altri settori merceologici, viene restituita dal Codacons. Dal periodo pre-crisi (sempre il 2007) a oggi i consumi in Italia sono diminuiti di 80 miliardi di euro. Ciascuna famiglia – in questi sette anni – ha ridotto mediamente gli acquisti per oltre 3.300 euro. La riduzione dei consumi ha superato i 1.300 euro pro capite, neonati compresi. Tra i settori più colpiti dai tagli di spesa operati si evidenziano i trasporti (-23% e il calo dei consumi petroliferi lo conferma), abbigliamento e calzature (-17%), mobili per la casa ed elettrodomestici (-12%). Si riducono anche i consumi primari, con gli alimentari che scendono in 7 anni dell’11,5 per cento. Il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, ha individuato nel raddoppio del tasso di disoccupazione (dal 6,1% del 2007 all’attuale 12,6%), che ha determinato un incremento dei senza lavoro di 1,7 milioni di unità, una delle cause principali della débâcle. «Sono anni che gli allarmi sullo stato economico disastroso delle famiglie lanciati dal Codacons rimangono inascoltati dalle istituzioni», ha commentato Rienzi aggiungendo che «il governo, con il bonus da 80 euro, ha gettato solo una goccia nel mare, del tutto insufficiente a risollevare i bilanci familiari».
Ovviamente, il crollo dei consumi non è sintomatico di una povertà diffusa e galoppante. Certamente la condizione reddituale di molte famiglie italiane è peggiorata e confina con l’indigenza. Tuttavia si è verificato quel fenomeno che accade ogniqualvolta le politiche economiche dei governi tendono a creare una situazione di insicurezza peggiorando, come detto, il clima recessivo: non si spende perché si ha paura di diventare poveri o si teme di non poter far fronte a un episodio imprevisto. La mancata spesa diventa risparmio che comunque è ricchezza della nazione. Come ha evidenziato il Censis, nei sette anni della crisi contanti e depositi bancari sono aumentati del 9,2% raggiungendo i 1.209 miliardi di euro a marzo scorso dai 975 miliardi di fine 2007. La propensione al risparmio è salita del 10% negli ultimi due anni nonostante il reddito disponibile sia diminuito dell’1,2 per cento. Più risparmi meno consumi perché il timore è proprio quello di finire in povertà per un italiano su tre. Il premier Matteo Renzi tutto questo lo sa e forse lo dimentica tra una Tasi qui e un’accisa là.